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Una necessaria rinascita

Autore:Federico Scotti

Data: 28/08/2025

Una necessaria rinascita
Il 4 marzo, la Presidente della Commissione Ursula von der Layen ha annunciato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro per potenziare la difesa europea. Due giorni dopo, il consiglio dei capi di governo dei 27 Stati membri ha approvato ufficialmente la proposta del ReArm Europe che mira a potenziare gli investimenti dei singoli Stati nella Difesa e creare un maggiore coordinamento a livello dell’Unione. Il nome, pochi giorni fa, è stato modificato in Readiness 2030 che, come spiega la Presidente von der Layen in un’intervista al Corriere (pubblicazione in data 29 marzo ndr.) esprime meglio l’intenzione del progetto di coprire “un ambito più ampio, che guarda le diverse dimensioni e gli strumenti per mantenere la pace”.  Non sono mancate le critiche.  Limitando l’analisi solamente al nostro paese, emerge facilmente la criticità con cui il piano di riarmo è stato ricevuto, una difficoltà che trascende i classici schieramenti politici. Una netta opposizione è stata espressa sia dalla Lega sia dal Movimento Cinque Stelle e anche Elly Schlein ha sollevato non pochi dubbi (anche se un cospicuo numero di esponenti del PD ha un pensiero opposto) ritenendo che “la strada proposta da von der Layen non sia quella che serve all’Unione Europea” perché “noi vogliamo una difesa comune non il riarmo dei 27 paesi”. Stessa posizione espressa da Giuseppe Conte, il quale afferma, inoltre, che “un’Europa bellicista ci fa schifo”. Sulla medesima linea si schiera anche Salvini che accusa l’Europa di perseguire la strada della guerra mentre il resto del mondo vuole la pace.  Dai tre leader emerge una comune visione neutralista che ripudia ogni forma di bellicismo a favore dell’esclusivo uso della diplomazia per il raggiungimento della pace.  Tuttavia, è necessaria una distinzione per quanto riguarda il progetto del ReArm Europe: il modo con cui si vuole realizzare e cosa esso rappresenta in sé. Mentre il primo aspetto è sicuramente perfezionabile, specie a livello economico e del tipo di armamenti da produrre, il secondo implica una profonda riflessione sul concetto di Unione Europea e sulla sua futura posizione nei confronti del resto del mondo.   All’alba della nuova era, sorta al termine della Seconda Guerra mondiale, l’Europa era a pezzi: le città distrutte, la propria economia in ginocchio, le persone divise dall’appartenenza a ideologie e schieramenti politici opposti, le istituzioni incapaci di rispondere adeguatamente alle imperanti questioni del loro tempo. Come reagire al bisogno? A chi rivolgersi in cerca di aiuto? L’America allungò il braccio al Vecchio continente, ne raccolse i frammenti più occidentali e si pose come suo principale amico e alleato, in quello scenario politico che si stava definendo e che in pochissimi anni avrebbe portato alla divisione dell’Europa in due blocchi: Stati Uniti da una sponda, Unione Sovietica dall’altra, la quale, contemporaneamente all’azione americana, ampliava la sua ombra sui popoli europei dell’Est. Una corsa per accaparrarsi il maggior numero di Stati a cui era imposto, di fatto, di condividere la politica estera del blocco di appartenenza.  L’Europa occidentale grazie agli aiuti economici americani stanziati dal Piano Marshall si rialzò e i singoli Stati, si interrogarono su quale posizione assumere verso il resto del mondo. Soprattutto verso le altre nazioni europee.  Per secoli non c’era stata alcuna unità. Dal XIII secolo, con la nascita delle prime monarchie nazionali, fino al 1945 le alleanze tra potenze – assolutamente indipendenti e devote al maggior guadagno personale – furono molto volubili e determinate dalle circostanze del momento. Secoli di guerre continue, di governi oppressivi, prima monarchici e poi dittatoriali, che avevano causato devastanti crisi economiche, commerciali e sociali. Ma, anche, secoli di importanti rivoluzioni filosofiche e di pensiero promotrici della democrazia (diversa dalla sua antenata greca) e dell’uguaglianza. Proprio queste correnti di pensiero, nel Novecento, erano ben radicate tra le persone e le due guerre mondiali, insieme ai regimi totalitari, fecero desiderare ancora di più la pace e la libertà. Finita la guerra, molte illustri personalità europee del tempo cooperarono per la realizzazione di un organo internazionale, ponendo le prime pietre, di carattere prettamente economico, di quel gigantesco artificio che è l’Unione Europea; da non dimenticare mai che essa non è un’opera già conclusa, ma un progetto in continuo cambiamento e miglioramento. All’interno di questa organizzazione evidentemente di paesi alleati e non in guerra tra loro, il desiderio di tutelare i diritti e la libertà di ogni essere umano trovarono terreno fertile.  La democrazia da molti invocata divenne, all’interno dell’Unione, realtà. Una democrazia che come afferma l’articolo 11 della Costituzione italiana: “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Democrazia e pacifismo si sono fuse (fortunatamente) sempre più.  Ma, con il tempo, il pacifismo si è trasformato in un neutralismo particolare, nel rifiuto incondizionato dell’uso di armi per intervenire in qualunque questione internazionale (posizione non contenuta all’interno dell’articolo 11 della nostra Costituzione, che prosegue consentendo: “in parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicura la pace e la giustizia tra le Nazioni”). Come mai? L’Europa alla metà del Novecento non possedeva nessun ruolo significativo a livello globale; la scena internazionale era gestita e governata egemonicamente dagli Stati uniti e dall’URSS. Perciò essa è scivolata sempre più verso la certezza che la guerra fosse nemica della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza e che un modello di vita come il suo, che rifiutava la belligeranza, fosse la migliore garanzia per la pace.   Però se l’Europa aveva abbandonato la guerra, la guerra non aveva abbandonato l’Europa. Il clima di sicurezza (almeno tra interno dell’Unione ed esterno) e benessere, a cui nessun cittadino Europeo ha mai voluto rinunciare, era consentito da una massiccia presenza militare NATO e soprattutto Americana. Gli USA fornivano la sicurezza e l’Europa in cambio rimaneva sua alleata condividendone la politica estera: da un punto di vista, questo è il principio regolatore del patto atlantico (basato, anche, sicuramente su una comune appartenenza a medesimi valori e tradizioni). Perciò, non ha mai potuto per davvero fare a meno dell’uso delle armi, anche solamente per garantire la propria sicurezza (che poi, nel piccolo di ogni città, non è forse la presenza delle forze dell’ordine che garantisce il rispetto delle leggi?). Quest’ultimo principio, ai nostri giorni, non è affatto cambiato, ma sono mutate altre condizioni che hanno portato al piano proposto da von der Layen. Fintanto che l’Europa e l’America possiedono una comune visione rispetto al resto del mondo (come è stato per il governo Biden) esse sono fidate alleate e la seconda ha tutto l’interesse nel garantire la difesa del Vecchio continente, il quale può professare l’amore per il neutralismo e la pace, resi possibili da armamenti e contingenti armati esterni, “senza pagarne il prezzo” (Antonio Polito, Corriere, 27 marzo).   Oggi, però, non è più così: il governo Trump ha dichiarato inequivocabilmente che non intende più occuparsi della sicurezza dell’Unione Europea, perché (attenzione) essa non spende a sufficienza nella difesa; altro segnale, dunque, di come l’impiego di armi sia necessario per il mantenimento della pace, che non significa rinunciare ad essere pacifisti, perché ciò rimarrà sempre un importante via per scongiurare le guerre ma, purtroppo, non è sufficiente. La diplomazia da sola non ha la capacità di risolvere ogni crisi e conflitto. Trump sta trattando con Putin, perché è in una uguale posizione di forza, garantita soprattutto dalla potenza militare. Oggi noi Europei dobbiamo scegliere: “riarmarci” oppure cullarci sempre di più nel neutralismo, consapevoli però che il mondo è retto da grandi potenze armate contro le quali l’Unione Europea oggi non esercita alcuna influenza. Riarmarsi significa, innanzitutto, riconoscere che una forte difesa militare c’è sempre stata a proteggerci, semplicemente non era nostra. Perciò, il riarmo può essere un’ottima opportunità per diventare davvero più forti: diventare indipendenti dalla protezione americana, non dipendere più dalla sua potenza militare e di conseguenza non dover ubbidire necessariamente alla loro politica estera, per timore dell’incertezza. Non vuol dire non essere loro alleati o rompere i patti atlantici, ma il contrario: rafforzare l’alleanza ponendoci in una condizione di minor inferiorità e allo stesso tempo rafforzare la nostra posizione sul piano internazionale, non certo per trasformarci in aggressori guerrafondai, ma per tutelare i nostri valori e principi democratici da qualunque possibile minaccia.  Concludo con una frase di De Gasperi: “Neutralità, ideale da tutti agognato, ma raggiungibile solo in un mondo di inermi o garantito da una forte difesa di natura e di armi”. Credo sia evidente che il nostro non è un mondo di inermi, ma di gente che vuole urlare la propria voce e lottare per le proprie idee e i propri diritti. 

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