La verità al servizio della convenienza
Autore:Federico Scotti
Data: 28/08/2025

“Dio è morto” - gridava Nietzsche, un secolo fa - “e con lui ogni valore”. In un mondo privato della verità, l’uomo vecchio ha perso sé stesso e il proprio senso dell’esistenza: non gli resta più nulla. Perciò, annichilisce e, per sopravvivere, è costretto a trasformarsi nell’oltreuomo, un uomo nuovo capace di plasmare la realtà al suo volere; un uomo indipendente e autonomo; un uomo creatore di nuovi valori e verità.
Questa idea di individuo non è morta con il suo pensatore, ma si è diffusa, nel Novecento, a macchia d'olio. Specialmente, si è acuito l’individualismo: porre i propri interessi, bisogni e obiettivi prima di ogni cosa e di chiunque. Considerarsi superiori agli altri. Una mentalità diffusa fra tutti e in ogni luogo, che fa sentire maggiormente la propria potenza distruttiva tra i capi di Stato e i grandi imprenditori, a causa dell’inevitabile significativa ricaduta sulla società.
Tra i tanti politici e tycoon (e sono veramente moltissimi) che seguono le orme di Nietzsche, bisogna sicuramente annoverare Trump. E a buon motivo. La sua strategia, prima elettorale e ora governativa, si fonda sullo show di cui lui è il conduttore e l’attore principale: a prescindere dal contesto, deve mettersi in mostra. Molti suoi sostenitori lo adorano per questo. L’atto che preferisce è il discorso (ormai sempre disponibile su internet o in diretta oppure tramite innumerevoli video registrati), nel quale dà sfoggio della sua sicurezza e leadership ma, purtroppo, spesso e volentieri, per farlo ricorre alla menzogna, alle invenzioni, agli insulti e, persino, ai ricatti.
Riflettendo su un tale comportamento, è giusto che il presidente di una potente nazione, con grandissime responsabilità mondiali trasformi il suo ruolo da istituzionale a teatrale (il medesimo discorso si applica a moltissimi altri soggetti, indipendentemente dal loro schieramento politico)?
Emblematico è, a riguardo, l’incontro del 28 febbraio scorso tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump alla Casa Bianca.
Già fin dal primo istante: “Oggi si è messo in tiro”, dice Trump con ironia rivolto ai giornalisti in riferimento alla felpa che indossa Zelensky (la solita da tre anni a questa parte, non certo, quindi, un’offesa all’America). La conseguenza è un visibile imbarazzo da parte del presidente ucraino, da un lato disorientato, dall’altro costretto a fare buon viso a cattivo gioco.
Ha fine il primo atto.
L’ambientazione della scena successiva è lo Studio Ovale. Qui ha luogo il fulcro della strategia trumpiana: mostrare all’America che il loro presidente è forte e sicuro di sé.
Su quest’ultimo punto vengono in aiuto le “regole per la vittoria” di Roy Cohn, il mentore di Donald Trump. Uno di questi precetti è che non esiste la verità, ma ognuno ha la sua. Il tycoon si è stampato nella mente questa lezione (di forte matrice nietzschiana) e non l’ha mai più dimenticata. Ha imparato che sfruttando la retorica si può plasmare il mondo secondo il proprio punto di vista, dando rilievo soltanto agli interessi personali. In un mondo senza punti di riferimento certi, in cui ogni valutazione è soggettiva, si diventa immuni alle contestazioni perché non c’è nulla di oggettivo da contestare. L’abilità di Trump sta nell’astuto utilizzo della retorica per elevare la propria verità a unica verità (sono infinite le frasi collezionabili durante i suoi anni da presidente in cui invita a fidarsi di lui perché è “il migliore conoscitore di …”, “l’unico in grado di…”).
Torno a ripetere: come lui tantissimi altri. E ancora: è giusto così? È accettabile che la realtà sia interpretabile soggettivamente? Perché la conseguenza è chiarissima: chi decide come i più devono vivere, è il più forte, libero da ogni imposizione superiore.
Questo atteggiarsi con sicurezza ritorna lungo tutto il discorso con Zelensky alla Casa Bianca. Tuttavia, il presidente ucraino in due occasioni abbatte il velo teatrale trumpiano. La reazione è prima secca e poi esplosiva.
Infatti, nel primo caso, Zelensky ribatte a Trump che l’Europa ha stanziato aiuti economici in quantità quasi uguale a quella Americana, mentre questi continua a rispondere: “no”, molto meno”. Dopo tre o quattro botta e risposta, arriva la conclusione incontestabile del tycoon: “No, no, non si discute!”.
Perché non si discute? Solamente in dipendenza dal fatto che Zelensky usa parole contrarie e opposte a ciò che Trump afferma? Invece di sopprimere il dialogo non sarebbe stato meglio sostenere la propria posizione argomentando?
La seconda occasione, ben più gravida nelle conseguenze, si verifica a seguito di alcune parole di Zelensky, il quale aveva evidenziato come tutta la precedente diplomazia con Putin, dal 2014 fino a quel momento, non fosse servita a fermare le spinte espansionistiche del dittatore. Segue in risposta un attacco provocatorio lanciato dal vicepresidente americano J. D. Vance che lo accusa di mancanza di rispetto verso l’intera nazione degli USA. Il presidente ucraino, rivolgendosi all’America, afferma che essa non comprende la posizione degli Ucraini perché possiede un oceano che la separa dalla guerra.
Trump scoppia.
Zittisce Zelensky e gli ricorda che “non ha le carte”: è solo il capo di uno Stato in difficoltà senza armi, con poche risorse, che rischia di essere annientato dalla Russia e che per sopravvivere ha un bisogno vitale degli Stati Uniti. Gli intima di cambiare atteggiamento.
Ma perché reagisce in questo modo? È solo infastidito dal presidente Ucraino che con certe affermazioni rema contro il tentativo di un accordo con la Russia? O dalla sua volontà di continuare a combattere se le condizioni di pace non dovessero essere eque? In caso, bisogna chiedersi perché Trump desideri la pace così fervidamente, quasi più dello stesso popolo ucraino.
In precedenza, durante l’incontro, Trump si definisce l’uomo giusto per risolvere il conflitto perché “è un uomo d’affari”.
Forse, la chiave di risposta sta proprio qui: l’accordo che vuole stipulare con la Russia, nella sua mente, ha, in prima istanza, l’obiettivo di essere un affare commerciale. L’America, per continuare ad “essere grande” (sintesi della politica trumpiana è Make America Great Again) necessita delle terre rare che si trovano vicino alla linea del fronte e nei territori già conquistati dai russi e per poter “scavare, scavare, scavare”, ciò di cui ha bisogno è che la guerra sia conclusa.
Uno può essere d’accordo con questo pensiero utilitaristico. Però, lo sarebbe anche se si trovasse al posto degli uomini e delle donne, vittime della cupidigia dei Potenti?
Zelensky non ha più la possibilità di rispondere. Trump si ricompone; torna nel suo ruolo di conduttore pacato e amichevole. Si rivolge ai giornalisti e agli americani dicendo:
“Penso che abbiamo visto abbastanza”.
Cala il sipario.