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Il fascismo di Salò

Autore:Pietro Rea

Data: 28/08/2025

Il fascismo di Salò
Oggi celebriamo in tutta Italia la festa della Liberazione, ricordandoci di quel 25 Aprile di ottant’anni fa, quando le forze degli alleati, oltrepassando la linea gotica, entrarono nel nord italia occupato dalle forze naziste e dai repubblichini di Salò. Ma liberazione da cosa? “Naturalmente dal fascismo in Italia.” Questa potrebbe essere da un canto la risposta più adeguata e dall’altro la risposta più sbagliata che si possa dare: è logico, infatti, assimilare il giorno della liberazione con il giorno della liberazione dalle truppe nazifasciste: Mussolini sarebbe morto il 28 aprile, la Repubblica Sociale Italiana era stata, nei fatti, sciolta pochi giorni prima e cinque giorni dopo sarebbe morto anche il Fuhrer, segnando la fine di ogni possibile Reich. Dunque possiamo dire che da allora siamo liberi dal fascismo hitleriano o mussoliniano. Tuttavia Pier Paolo Pasolini fece, a suo tempo, una osservazione particolarmente intrigante, che stravolge ogni possibile lettura della “liberazione” italiana dal fascismo effettivo, fascismo inteso come totalitarismo, come forma di oppressione e tirannia. Per spiegarlo Pasolini scrisse libri, articoli e da buon intellettuale moderno produsse anche dei lungometraggi, l’ultimo dai lui prodotto, un film particolarmente atroce e inguardabile, s’intitola propriamente “Salò”. In una bellissima villa sulle rive del Garda un gruppo di gerarchi fascisti rapiscono dei giovani e li torturano fino allo sfinimento: torture, violenza, scene di nudità ingiustificate e un elevato numero di altre scene atroci. Si potrebbe pensare che quella di Pasolini sia una critica al fascismo, alla Repubblica Sociale e a tutti i partiti neofascisti che negli anni ‘60 e ‘70 diffondevano in terrore in Italia. Invece la sua obiezione è contro la società dei consumi. In una scena della pellicola per esempio alcuni gerarchi fanno mangiare delle feci a dei ragazzi e alla domanda “Ti piace quello che stai mangiando?” i ragazzi annuiscono. (Non ho mai visto il film, anche perché da come si è intuito è altamente disturbante, per questo mi limito a riportare le scene che mi sono state raccontate.) L’inferno repubblichino descritto in questo film è equiparabile a quello dantesco: tutti i dannati potranno bestemmiare, urlare e incazzarsi quanto vogliono, ma mai ne vedremo uno che scambierebbe la sua sorte con altra. I dannati non si vogliono opporre alle pene dell’inferno, stanno bene lì dove sono in sostanza. Così Pasolini giudica la società nella quale siamo immersi: una società che punta a farci consumare tutti i prodotti possibili, spogliandoci di ogni valore, di qualsiasi riscatto intellettuale o spirituale, e dandoci in abbondanza tutte quelle frivolezze di cui abbiamo voglia. Infatti nella società sopra descritta i valori tradizionali o ideali, che si identificavano all’epoca come valori di stampo comunista, socialista, fascista, cattolico, nazionalista e via dicendo, non solo non funzionano, ma non provocano la minima attrazione nei confronti di qualsiasi individuo. Pochi sono gli individui che riescono sottrarsi a questa cultura omologante e priva di qualsiasi stimolazione a livello intellettuale e spirituale. Non a caso Pasolini chiama il film “Salò”, come il governo sociale instaurato da Mussolini dopo l’armistizio dell’8 settembre. Infatti, scrive in un articolo sull’Europeo, il fascismo che noi predichiamo come morto e sepolto con Mussolini è più da definirsi come un Archeofascismo, un fascismo storico del quale si può solo avere un ricordo. Sarebbe infatti incoerente oggi definirsi “fascisti”, perché lo si sarebbe solo a livello teorico, di idee, forse di vestiario, ma in mezzo a una folla un fascista, come un comunista sarebbe uguale a tutti gli altri. Potremmo vederli insieme con le stesse marche e gli stessi prodotti addosso o in mano. La cultura omologante ha sottomesso a sé anche tutti coloro che si definiscono “liberi di scegliere e di pensare”. Pertanto, osserva Pasolini, la liberazione del 25 Aprile è una liberazione parziale, è una liberazione da un fascismo arcaico e assolutamente anacronistico (sarà impossibile che un secondo Mussolini torni in Piazza Venezia, noi italiani vogliamo la comodità, non un leader). È un’altro il fascismo dal quale dobbiamo liberarci, un fascismo perfezionato rispetto al precedente, perché ci prende senza che possiamo vederlo, perché non dà altre possibilità di riscatto apparentemente. Pertanto mi sento incoerente a farvi gli auguri per la festa della Liberazione, sapendo che il fascismo che “detestiamo” è morto per sempre e il fascismo che invece “adoriamo” inconsciamente è vivo e vegeto, e nessuno si premura di liberarci da lui. Quando ci libereranno dall’omologazione di massa, dai falsi idoli, dagli ideali da quattro soldi e dal mito del marketing, dalla divinità Merce, allora sarà una vera festa della liberazione.

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